Sulla differenza tra reddito di base e reddito di cittadinanza

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La proposta originale del Movimento Cinque Stelle

Istituzione del reddito di cittadinanza nonché delega al Governo per l’introduzione del salario minimo orario è il titolo del disegno di legge presentato il 29 ottobre 2013, primo firmatario l’esponente catanese del Movimento Cinque Stelle Nunzia Catalfo. All’atto, il Senato della Repubblica ha assegnato il n. 1148 [1].

Pur comprendendo che, con tutta probabilità, il reddito di cittadinanza di cui si andrà a discutere in Parlamento nei prossimi mesi avrà delle differenze con quest’atto, il disegno di legge di Nunzia Catalfo è l’unico documento ufficiale sulla materia. A questo occorre fare riferimento al momento per un confronto tra reddito di base e quello di “cittadinanza”, cavallo di battaglia del movimento politico fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.

L’esame della norma proposta deve necessariamente partire dalla motivazione politica che induce il Movimento Cinque Stelle a elaborarla. Questa è rilevabile dalla relazione di accompagnamento all’atto.

Essa prende spunto dalla comunicazione della Commissione europea del 3 marzo 2010 intitolata Europa 2020: Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva che si pone come obiettivo la riduzione del numero delle persone soggette al rischio di povertà. Inoltre, dalla risoluzione del Parlamento europeo del 20 ottobre 2010, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea dell’8 marzo 2012, che «evidenzia il ruolo del reddito minimo nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa […] ritiene altresì che i sistemi di redditi minimi adeguati debbano stabilirsi almeno al 60 per cento del reddito medio dello Stato membro interessato».

La relazione alla proposta di legge così esordisce:

Nessuno deve rimanere indietro! Attualmente in Italia sono troppe le persone e le famiglie che dispongono di un reddito che non permette di vivere con dignità. La mancanza di lavoro e di occupazione ne è la causa principale. Bisogna agire sui redditi e sul lavoro.

La crisi mondiale in atto non è contingente ma sistemica e strutturale. È un punto di non ritorno con cui il capitalismo globale deve fare i conti. Negli ultimi decenni si è assistito ad una progressiva e iniqua redistribuzione della ricchezza nei Paesi occidentali che, aumentando sempre più il divario tra i cosiddetti ricchi e i cosiddetti poveri, ha contribuito a ridurre in maniera determinante il potere d’acquisto di questi ultimi, minando le fondamenta stesse del sistema economico attuale. È necessario agire subito con un cambio di rotta e mettere al centro dell’azione politica il benessere del cittadino, riconoscendone innanzitutto i diritti di base: avere la possibilità e gli strumenti necessari per vivere una vita dignitosa, il diritto al lavoro, all’istruzione, all’informazione e alla cultura.

[bctt tweet=”La crisi mondiale in atto non è contingente ma sistemica e strutturale. È un punto di non ritorno con cui il capitalismo globale deve fare i conti. ” username=”@fronteampio.it”]

Bisogna dare atto che molto di quanto riporta la relazione sulla proposta di legge per l’istituzione del reddito di cittadinanza è perfettamente in linea con le motivazioni politiche fondamentali nel reddito di base. Dell’esistenza di diritti di base delle persone, per il semplice essere nati, e della necessità di assicurare una vita dignitosa già ho scritto in questo studio. Anche il divario in aumento, tra ricchi e poveri, che nel tempo può minare la coesione sociale, è stato qui dimostrato.

La relatrice del Movimento Cinque Stelle poi, però, aggiunge:

Perché lavoriamo? Lavoriamo per offrire beni e servizi alla società. Lavoriamo per essere retribuiti e garantirci gli stessi beni e servizi che la società ci offre. Lavoriamo […] per far crescere il benessere, per vivere una vita dignitosa e felice.

Questa definizione sta alla base della struttura della proposta di legge di Nunzia Catalfo.

La finalità della proposta non è quella di riconoscere un diritto di esistenza dignitosa tout court, ma di affrontare tanto il problema della povertà quanto quello della necessità, a suo dire, di sostenere l’aumento della produzione e dei consumi: «nel biennio 2012-2014 la contrazione complessiva dei consumi delle famiglie italiane ammonterà a circa 60 miliardi di euro, influendo significativamente in modo negativo sulla produzione e sull’occupazione», fa rilevare la senatrice.

Tuttavia, la relazione poi torna esplicitamente a sostenere il reddito di base:

il livello ideale, futuro e auspicabile, coincide con l’attuazione del reddito di cittadinanza universale, individuale e incondizionato, ossia destinato a tutti i residenti adulti a prescindere dal reddito e dal patrimonio, non condizionato al verificarsi di condizioni particolari e non subordinato all’accettazione di condizioni.

Qui sottolineo la contraddizione tra l’universalità riconosciuta a parole e il circoscrivere nei fatti l’ambito dei beneficiari agli adulti. Purtroppo, continua la senatrice Nunzia Catalfo, questo livello ideale oggi non è attuabile:

potremo raggiungere tale livello solo a seguito di una radicale riforma dell’ordinamento tributario e del sistema sociale, tesa ad una migliore ridistribuzione del contributo fiscale, con il duplice obiettivo certo e non più differibile di eliminare la piaga dell’evasione fiscale e di ridurre la pressione tributaria e contributiva.

Quindi, «il fine del presente disegno di legge è quello di raggiungere un primo livello, non ancora ideale».

Andando all’esame della proposta concreta, l’art. 3 del disegno di legge stabilisce che:

il reddito di cittadinanza garantisce al beneficiario, qualora sia unico componente di un nucleo familiare, il raggiungimento, anche tramite integrazione, di un reddito annuo netto calcolato secondo l’indicatore ufficiale di povertà monetaria dell’Unione Europea, pari ai 6/10 del reddito mediano equivalente familiare, quantificato per l’anno 2014 in euro 9.360 annui e in euro 780 mensili.

In caso di nucleo familiare composto da più componenti, l’assegnazione è adeguatamente fissata.

Il comma 10 dell’art. 3 precisa che «il reddito di cittadinanza non costituisce reddito imponibile e non è pignorabile».

Sul fronte dei soggetti beneficiari, interviene l’art. 4: «hanno diritto al reddito di cittadinanza tutti i soggetti che hanno compiuto il diciottesimo anno di età, risiedono nel territorio nazionale» e che siano «in possesso della cittadinanza italiana o di Paesi facenti parte dell’Unione Europea». Sono specificatamente esclusi dal beneficio «i soggetti che si trovano in stato detentivo per tutta la durata della pena». Inoltre risulterebbero esclusi, qualora d’età inferiore ai 25 anni, coloro che non sono in «possesso di una qualifica o diploma professionale riconosciuto».

L’art. 11 del disegno di legge sul reddito di cittadinanza delinea degli obblighi in capo al beneficiario della prestazione; in caso di mancato rispetto questa viene revocata. Questi, in particolare, sono quelli di:

accettare espressamente di essere avviato ai corsi di formazione o riqualificazione professionale; offrire la propria disponibilità per la partecipazione a progetti gestiti dai Comuni, utili alla collettività, in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni, da svolgere presso il medesimo Comune di residenza o presso quello più vicino che ne abbia fatto richiesta; recarsi almeno due volte al mese presso il Centro per l’impiego; di non rifiutare più di tre proposte di impiego.

La normativa proposta allarga le prestazioni da quella prettamente monetaria a quelle di servizi. All’art. 13 sostiene il diritto, per i percettori di reddito di cittadinanza, a partecipare ai bandi per richiedere «contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione dovuti ai proprietari degli immobili, di proprietà sia pubblica sia privata» (di cui alla Legge 9 dicembre 1998, n. 431), qualora «non proprietari di immobili ad uso abitativo».

Inoltre, «compatibilmente con le loro risorse e nei limiti consentiti dal patto di stabilità», i beneficiari hanno diritto a concorrere alle misure per il sostegno «all’acquisto di libri di testo» per la frequenza alla scuola dell’obbligo e «all’uso dei trasporti pubblici locali» (art. 14).

Per quanto riguarda la copertura finanziaria, l’art. 20 della proposta di legge, elenca, tra le altre, le seguenti:

  • l’aumento del «prelievo erariale unico attualmente applicato sui giochi» per almeno 600 milioni di euro;
  • l’aumento della carbon tax di un punto percentuale rispetto l’attuale 5,5% (addizionale sul reddito delle società, già vigente in forza del comma 16 dell’art. 81 del Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, per quelle società che si occupino di produzione o commercializzazione di idrocarburi liquidi e gassosi e di energia elettrica);
  • la riduzione delle «dotazioni finanziarie iscritte nello stato di previsione del Ministero della Difesa», nella misura di 3.500 milioni di euro;
  • l’istituzione di «un’imposta progressiva sui grandi patrimoni mobiliari e immobiliari» intesi per quelli «il cui valore complessivo è superiore a euro due milioni»; tale nuova imposta annua sarebbe calcolata in una misura variabile tra lo 0,75% e il 2% del patrimonio, in maniera progressiva;
  • la riduzione a cinque mila euro mensili dell’indennità dei parlamentari.

Si tratta di misure che trovano condivisione nelle proposte di copertura avanzate, in vari Paesi, per l’istituzione del reddito di base.

Per concludere l’esame del progetto normativo del Movimento Cinque Stelle, piace segnalare l’art. 19:

in adempimento dei princìpi sanciti dall’articolo 36 della Costituzione […] il Governo è delegato ad adottare […] decreti legislativi contenenti disposizioni per l’istituzione del salario minimo orario (SMO) applicabili a tutti i lavoratori, subordinati e parasubordinati, […] per tutte le categorie di lavoratori e settori produttivi in cui la retribuzione minima non sia fissata dalla contrattazione collettiva.

Il valore orario dello SMO sarebbe stato fissato per l’anno 2015 in 9 euro lordi.

In definitiva, il reddito di cittadinanza proposto dalla senatrice Nunzia Catalfo ed altri, del Movimento Cinque Stelle:

  • risulterebbe sufficiente;
  • è individuale, anche se limitato dalle condizioni familiari o della semplice famiglia di origine per i giovani studenti che vivono in maniera indipendente;
  • non è universale, poiché la platea risulta ridotta ai soggetti maggiorenni con reddito inferiore ai 780 euro mensili;
  • è condizionato, dalla attiva ricerca dell’impiego, dallo svolgimento di attività di formazione e di una prestazione lavorativa di utilità sociale.

Le caratteristiche, invece, del reddito di base sono proprio di essere individuale, incondizionato, sufficiente e universale.

D’altro canto la stessa relatrice aveva chiaramente precisato nella relazione come il “reddito di cittadinanza” non fosse un reddito di base “autentico” ma un primo passo verso la sua successiva realizzazione.

Il procedimento al Senato della proposta di legge

La proposta di legge veniva trattata alla 11ª Commissione permanente (Lavoro, previdenza sociale) del Senato, per la prima volta, solo il 7 gennaio 2015 ovvero dopo oltre un anno dalla sua presentazione. Il suo procedimento, estremamente lento, non è poi mai giunto al dibattito d’Aula.

Nella prima seduta della Commissione, la proposta veniva unificata a quella n. 1670 datata 12 novembre 2014 presentata dalla senatrice Loredana De Petris (Sinistra, Ecologia e Libertà) denominata Istituzione del reddito minimo garantito.

Il 3 marzo 2015 la discussione veniva unificata con la proposta n. 1697 sempre del 12 novembre 2014 ancora a firma della senatrice Nunzia Catalfo (Movimento Cinque Stelle) che meglio definiva la Istituzione del salario minimo orario già trattata all’art. 19 del testo originario.

Successivamente, la Commissione procedeva a una serie di audizioni informali, quali quelle dei rappresentanti dell’ISTAT, delle organizzazioni sindacali, della Conferenza delle Regioni, dell’INPS, delle ACLI e della Caritas.

Il 23 giugno 2015, entrava nel procedimento anche la proposta di legge Disposizioni per l’introduzione di una misura universale di contrasto alla povertà denominata reddito minimo (atto n. 1919), avanzata dalla senatrice Maria Cecilia Guerra (PD).

La trattazione del tema veniva successivamente delegata a un Comitato Ristretto che si riuniva in maniera via via sempre meno frequente. Sciolto il Parlamento, nel dicembre 2017, s’interrompeva definitivamente il lavoro d’esame delle proposte.

La proposta di Sinistra, Ecologia e Libertà

La senatrice De Petris, [2] nella relazione alla propria proposta, evidenziava due importanti premesse:

il disegno di legge proposto al dibattito parlamentare prende le mosse dalla legge regionale 20 marzo 2009, n. 4, del Lazio che, seppure solo in via sperimentale, ha introdotto sul territorio di quella regione una misura di reddito garantito dalle caratteristiche fortemente innovative, che molti osservatori hanno salutato con entusiasmo come possibile momento di svolta per le politiche sociali del nostro Paese.

Inoltre:

è stato discusso in decine e decine di assemblee pubbliche ed ha trovato il consenso di oltre 50.000 elettori e di oltre 170 tra associazioni, comitati e forze politiche. Si tratta di una legge di iniziativa popolare che, per ragioni unicamente tecniche, non ha assunto tale veste formale in Parlamento e che i senatori e le senatrici di Sinistra ecologia e libertà (SEL) condividono e presentano oggi al Senato.

L’art. 3 della proposta di legge individuava il reddito minimo «nella erogazione di un beneficio individuale in denaro pari a 7.200 euro l’anno, da corrispondere in importi mensili di 600 euro ciascuno». L’importo, spiegava la relazione, era stato individuato «in misura almeno pari al 60 per cento del reddito mediano».

L’erogazione mensile di 600 euro, tuttavia (non inganni il precedente termine «ciascuno»), teneva conto «dell’insieme delle persone che dividono una medesima abitazione» e veniva, pertanto, riproporzionata in funzione di un coefficiente che variava in base al numero dei componenti il nucleo familiare (1,66 ovvero 1.000 euro al mese per una coppia, 2,22 ovvero 1.330 euro al mese per una famiglia con tre componenti e così via). La determinazione delle modalità di erogazione, in presenza di più componenti il nucleo, e di minori, era rinviata a un Regolamento da elaborare ed emanare successivamente.

La fruizione del beneficio era condizionata a una serie di fattori quali la residenza sul territorio nazionale da almeno ventiquattro mesi e il possesso di un reddito personale imponibile non superiore a 8.000 euro nell’anno precedente. Il reddito del nucleo familiare, in cui il soggetto richiedente era inserito, non poteva essere superiore a un ammontare da determinare con successivo Regolamento. Nello stesso Regolamento sarebbe stato individuato un livello limite per quanto riguarda il patrimonio mobiliare o immobiliare.

«Il beneficiario – sottolineava la proposta – decade dal godimento del reddito minimo garantito al compimento dell’età di 65 anni ovvero al raggiungimento dell’età pensionabile» e nel caso in cui «rifiuti una proposta di impiego offerta dal Centro per l’impiego territorialmente competente».

La proposta di legge De Petris faceva difetto di copertura finanziaria rimandando genericamente, nel proprio articolo 8, alla «fiscalità generale».

In definitiva, ci trovavamo di fronte a una proposta che poteva essere ritenuta sufficiente ma che risultava estremamente condizionata, non era universale e, contrariamente a quello sostenuto dalla proponente, non garantiva di avere carattere individuale.

La proposta del Partito Democratico

Il 19 maggio 2015, la senatrice del Partito Democratico Maria Cecilia Guerra, docente universitaria di economia pubblica, ha presentato, quale prima firmataria, il Disegno di Legge n. 1919 [3] avente per oggetto Disposizioni per l’introduzione di una misura universale di contrasto alla povertà denominata reddito minimo.

Appare interessante rilevare, all’interno della relazione della proposta di legge, il passaggio:

il nostro è l’unico paese dell’Europa a quindici che, assieme alla Grecia, non si è ancora dotato di una misura nazionale, universale, di contrasto alla povertà, che renda possibile a tutte le persone povere accedere a un paniere di beni ritenuto decoroso, in relazione agli stili di vita prevalenti.

Utile leggervi, per motivi di conoscenza di condizioni fattuali dei nuclei familiari italiani:

la misura proposta non si limita a fornire un sostegno soltanto alle persone “attivabili” (in grado di lavorare ma che per qualche motivata ragione non lavorano). Infatti, in più di un terzo dei nuclei familiari che si trovano in povertà non ci sono persone attivabili al lavoro. Si tratta cioè di nuclei poveri, nonostante gli adulti in essi presenti lavorino (perché quello che guadagnano è insufficiente a dare una via decorosa a tutti i membri della famiglia) […] o perché gli adulti che non lavorano sono impegnati in gravosi lavori di cura (ad esempio nel caso di madre single con figli a carico o familiari di persone non autosufficienti).

Si tratta di una proposta cui si accenna, comunque, solo per completezza di esposizione dato che risulta ancora più restrittiva della precedente. A mio parere, non idonea a raggiungere lo scopo dichiarato.

La proposta, oltre a stabilire un reddito minimo di 500 euro che non appare congruo, poi assegna un beneficio pari appena alla differenza tra l’eventuale reddito familiare e il 40% dello stesso reddito minimo. Spiega, la stessa Guerra nella relazione, come, in sostanza:

il beneficio consiste infatti in un trasferimento monetario che colma la distanza fra il reddito familiare e il “reddito minimo” (articolato in funzione della numerosità della famiglia) preso come obiettivo. La condizione economica dei singoli dipende infatti crucialmente da quella del nucleo in cui sono inseriti.

La proposta presenta alcune precondizioni:

nessun componente il nucleo familiare deve essere in possesso di autoveicoli immatricolati nei dodici mesi antecedenti la richiesta; un valore dell’indicatore della situazione patrimoniale dell’ISEE, al netto delle franchigie, non superiore a euro 3.000.

La proposta della senatrice Guerra cancella l’individualità del reddito minimo e l’assegna a un componente del nucleo familiare «garante della fruizione del beneficio da parte di tutti i membri del nucleo familiare».

In definitiva, la proposta Guerra non è universale, non è individuale, non è sufficiente (nella misura massima sembra definirsi in meno di 200 euro al mese per un nucleo mono componente), è condizionata. È estranea al concetto stesso di reddito di base.

Da rilevare che l’impegno di spesa della proposta Guerra era valutato in appena 1,7 miliardi di euro, contro i 16,1 miliardi di euro di quella del Movimento Cinque Stelle.

Si segnalano, per studio, tra i mezzi di copertura finanziaria:

  • l’aumento dell’imposta sulle transazioni finanziarie dallo 0,2% (previsto dal comma 491 dell’art. 1 della Legge di stabilità 2013, 24 dicembre 2012, n. 228) allo 0,3%;
  • il prelievo pari al 2 per cento sulle vincite derivanti da una singola giocata effettuata sugli apparecchi e congegni.

Una via alternativa: la proposta del lavoro garantito

Delega al Governo per l’istituzione del lavoro minimo garantito è il titolo, invece, della proposta di legge avanzata il 9 maggio 2018 dalla deputata Martina Nardi (PD). Il testo, al momento, non è disponibile sul sito della Camera dei Deputati e la proposta risulta ancora da assegnare alla Commissione competente.

Note

[1] CATALFO Nunzia et al. (2013, o.l.), senatrice del Movimento Cinque Stelle, Istituzione del reddito di cittadinanza nonché delega al Governo per l’introduzione del salario minimo orario su Senato della Repubblica.
[2] DE PETRIS Loredana (2014, o.l.), senatrice di Sinistra, ecologia e libertà, Istituzione del reddito minimo garantito, su Senato della Repubblica.
[3] GUERRA Maria Cecilia et al. (2015 o.l.), senatrice del Partito Democratico, Disposizioni per l’introduzione di una misura universale di contrasto alla povertà denominata reddito minimo, su Senato della Repubblica.

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2 risposte

  1. Mario Sciangula ha detto:

    Ebbene sì! Date lavoro(dignità) ai percettori rdc. e TUTTO sarà risolto. Cosa aspettate! Fate presto! “prima che succeda l’irriparabile!!”

  2. Redazione ha detto:

    Caro Mario “date lavoro” non vuol dire sfruttamento e non vuol dire fare un lavoro qualsiasi inadeguato alle capacità ( un medico disoccupato che fa il muratore, ad es). Il RdC, e ancor di più di Reddito di Base, consentono la scelta di accettare o meno un lavoro sulla base della sua adeguatezza e dell’adeguatezza del salario. E’ una sorta di “potere” del cittadino difronte lo strapotere del padronato. Forse quest’aspetto non l’hai esaminato.

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