Perché il reddito di base non disincentiva l’impiego

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Il reddito di base può disincentivare la gente a impiegarsi? È solo un pregiudizio. Le persone continueranno a cercare un impiego per aumentare le proprie entrate o sviluppare il proprio progetto di vita. La misura del reddito di base, d’altro canto, non permette di sostenere altre spese oltre quelle minime per una sussistenza dignitosa.

Oggi il pieno impiego è una falsa speranza, come mostrano alcuni degli ultimi studi realizzati sul futuro del lavoro. Questi ci dicono che, «nello spazio di 20 anni al massimo, il 47% delle attività attuali sarà scomparsa perché le persone saranno sostituite da macchine, robot o programmi informatici. Anche se si creeranno nuovi posti di lavoro grazie al progresso della tecnologia, il ritmo della distruzione degli impieghi sarà molto maggiore di quello della sua creazione» [1]. La politica è consapevole della rivoluzione causata dall’Industria 4.0:

l’aumento dei cambiamenti tecnologici ha intensificato le disparità di reddito. Se da un lato è positivo per la crescita economica nel suo complesso, il progresso tecnologico aumenta la dispersione dei salari […] premiando le qualifiche elevate, in particolare nei settori ad alto valore dell’economia come le tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni (TIC). Allo stesso tempo, l’automazione tende a rimpiazzare i lavoratori con livelli di competenze medio-bassi [2].

Lo sviluppo tecnologico sta dando luogo a un aumento esponenziale della ricchezza e a un abbattimento enorme dei costi di produzione. Questo progresso va posto, anche, al servizio del miglioramento delle condizioni di vita di tutti gli esseri umani.

L’economista John Keynes [3] predisse nel 1930 che, nell’anno 2030, avremmo lavorato 15 ore settimanali poiché, grazie al progresso della scienza e della tecnologia, non sarebbe stato necessario lavorare di più per produrre quanto bisognava.

Il reddito di base è complementare con l’accesso al pieno impiego remunerato; quest’ultimo si può ottenere solo a condizione che si riduca la giornata lavorativa a parità di salario.

I sindacati, dato l’accelerato sviluppo tecnologico, dovrebbero passare dalla lotta per il “pieno impiego” a quella per rivendicare la distribuzione del lavoro e la conseguente riduzione della giornata lavorativa mantenendo il potere d’acquisto del salario.

Si tratta, tuttavia, d’un tema di respiro europeo considerando che già in Italia un impiegato full-time lavorava nel 2016, nel settore dell’industria e delle costruzione (escluso quindi Pubblica Amministrazione, ecc.), 1.609 ore medie annue; un dato tra i più bassi nell’Unione Europea dopo quelli del Belgio (1.487 ore) e della Danimarca (1.578 ore). Solo per citare alcuni esempi, si lavora ben oltre in Romania (1.849 ore), a Malta (1.825 ore) in Ungheria (1.811 ore) o a Cipro (1.808 ore) [4].

Nell’attesa di raggiungere quest’obiettivo, nella medesima maniera in cui si sono impegnati per contrattare i sussidi per i disoccupati, i sindacati dovrebbero ora appoggiare il reddito di base.

Note

[1] FREY Carl Benedikt e OSBORNE Michael (2013 o.l.), The future of employment, riportato da AA.VV. (2018: 59), Renta Basica universal e incondizionata, Leon Alado, Spagna.

[2] COMMISSIONE EUROPEA (2017, o.l.), Scheda schematica per il semestre europeo – Affrontare le diseguaglianze, pag. 9, relazione del 22 novembre 2017.

[3] KEYNES John Maynard (5 giugno 1883 – 21 aprile 1946) pensava che, nel breve periodo, si potesse contrastare la disoccupazione con un incremento della spesa pubblica in deficit, ma nel lungo periodo dovevamo inevitabilmente fare i conti con la disoccupazione tecnologica (Prospettive economiche per i nostri nipoti, 1930). In sostanza, Keynes aveva molto chiaro il fatto che l’inarrestabile progresso tecnologico avrebbe comportato una disoccupazione crescente, all’interno delle società a capitalismo maturo, ed avrebbe richiesto provvedimenti strutturali per farvi fronte. L’unica terapia efficacia in grado di contrastare la crescente disoccupazione era, secondo il grande economista di Cambridge, la netta riduzione dell’orario di lavoro.

[4] EUROSTAT (o.l.), Average hours worked and paid per employee, by working time and NACE Rev. 2 activityLCS surveys 2008, 2012 and 2016, consultato il 14 dicembre 2018.

1 . REY Carl Benedikt e OSBORNE Michael (2013 o.l.), The future of employment, riportato da AA.VV. (2018: 59), Renta Basica universal e incondizionata, Leon Alado, Spagna.

2 . COMMISSIONE EUROPEA (2017, o.l.), Scheda schematica per il semestre europeo – Affrontare le diseguaglianze, pag. 9, relazione del 22 novembre 2017.

3 . KEYNES John Maynard (5 giugno 1883 – 21 aprile 1946) pensava che, nel breve periodo, si potesse contrastare la disoccupazione con un incremento della spesa pubblica in deficit, ma nel lungo periodo dovevamo inevitabilmente fare i conti con la disoccupazione tecnologica (Prospettive economiche per i nostri nipoti, 1930). In sostanza, Keynes aveva molto chiaro il fatto che l’inarrestabile progresso tecnologico avrebbe comportato una disoccupazione crescente, all’interno delle società a capitalismo maturo, ed avrebbe richiesto provvedimenti strutturali per farvi fronte. L’unica terapia efficace in grado di contrastare la crescente disoccupazione era, secondo il grande economista di Cambridge, la netta riduzione dell’orario di lavoro.

4 . EUROSTAT (o.l.), Average hours worked and paid per employee, by working time and NACE Rev. 2 activity – LCS surveys 2008, 2012 and 2016, consultato il 14 dicembre 2018.

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